Il primo ricordo che ho di te, sei tu con indosso quella felpa bianca, che ti dava un’aria da gran figo, e che portavi fiero di essere finalmente così magro – le pene d’amore fanno questo e altro – a sconfessare il soprannome che ti avevano dato da ragazzo, alle superiori, quando invece ti portavi appresso qualche chilo di troppo.
Quei chili di troppo che sono sempre stati un cruccio, e che alla fine ti sono scivolati addosso, come a non voler più appartenere a quel corpo martoriato.
Ci siamo baciati di soppiatto, perché nessun altro a quella festa si accorgesse di quell’attrazione, che per noi era stata scontata, naturale.
Doveva succedere prima o poi, e quando se non proprio quella sera?
E’ stata l’unica volta che abbiamo dormito insieme.
Avevi una casa bellissima, una mansarda come avevo sempre sognato, accogliente e molto curata e tu ti schermivi di tutti i complimenti che ti facevo per stemperare l’imbarazzo di un mattino dopo, di cui entrambi avremmo fatto volentieri a meno.
Ho capito da subito che il tuo cuore era di un’altra, e lo sarebbe stato per sempre.
Ma nonostante questo abbiamo continuato a frequentarci per anni.
E’ difficile raccontare cosa sei stato per me.
Una relazione clandestina.
Un piccolo conforto, un porto sicuro dove tornare dopo pochi giorni o pochi mesi, sapendo di essere accolta, sempre, per le poche ore che passavamo insieme.
Una coccola – tu che ti presenti alle due di notte con una boccia di vino e una “slerfa” di focaccia appena sfornata dal panificio sotto casa mia.
Un desiderio appagato, quello di sentirsi sempre desiderata, anche col pigiamone con l’orso, che mi durava addosso pochi minuti da quando varcavi la soglia di casa mia.
Una presenza, che improvvisamente è venuta a mancare.
Un affetto, che riempiva il cuore di un sentimento tiepido eppure appagante.
Un abbraccio in cui perdersi dopo una settimana faticosa in ufficio, in cui dimenticare i piccoli affanni dei quasi trent’anni.
Un dare e ricevere senza pretese né aspettative, una fuga dal quotidiano, un sogno, una trasgressione, un vuoto della ragione, un piacere tutto di pancia, né testa né cuore, solo noi.
Un’assenza.
Mi ricordo i tuoi tatuaggi, che mostravi con pudore e con quello scazzo con cui hai sempre affrontato la vita, coi suoi dolori e le sue avversità, ignaro dello scherzo del cazzo che il destino aveva in serbo per te.
Non era amore il nostro, ma affetto e stima reciproca.
Non ci siamo mai mancati di rispetto e ci siamo sempre sostenuti nel momento del bisogno.
Momenti solo nostri, di cui non ho mai raccontato a nessuno, per pudore o semplicemente perché era troppo difficile da spiegare.
Solo alla fine non c’ero.
Non c’ero perché non avrei saputo dove collocarmi.
Né amante, né compagna, né amica.
Un ibrido la cui esistenza conoscevi solo tu.
In questi giorni la tua presenza è costante, da settimane ormai, da mesi.
Ti sogno quasi ogni notte, mi capita di continuo di credere di vederti per strada.
Ti invoco nei momenti difficili, perché mai tu, e chi lo sa? Mi piace pensarti con quel sorriso sornione, a dirmi “e che vuoi che sia? Guarda che mi è capitato, eppure sono ancora qui.”
Ho ritrovato per caso una chat pochi giorni fa, erano i prodromi del tuo male e io stavo per sposarmi.
Eri spavaldo e rassegnato.
E terrorizzato.
E io impotente e in imbarazzo.
E che male ha fatto… la crudeltà della tecnologia è devastante nella sua freddezza.
Non riesco a cancellare il tuo numero, né quella chat, come farei con un ex un po’ stronzo, nella speranza di risentirlo, prima o poi.
Non riesco a pensare che non sei vivo.
Non ho mai smesso un solo istante di pensarti, e questo ti rende più vivo che mai.
Continuo a farlo, perché tu viva ancora un po’.
Ti penso, e finché ti penso, ci sei.
Quando mi si blocca la lavastoviglie, e la riavvio, come mi hai insegnato tu.
Quando mangio un pezzo di focaccia calda.
Quando ritorno col pensiero a quelle quattro mura, solo nostre e di nessun altro.
Perché alla fine la vita è questa: concretezza e poche, piccole certezze.
Questo rimane, di noi, a chi resta.
E tu ci sei, a ricordarmi che la vita è bella.
Cazzo se è bella, anche quando tutto va di merda.
Anche quando la vita è una merda perché ti ha portato via.
E allora si vive anche per te.
Si brinda alla vita, con una boccia di rosso, in cui galleggiamo noi, in quei pochi istanti perfetti di felicità, e che due coglioni eravamo, a non saperlo.